MANZ. 11. 0008 [Postillato] Milano, Biblioteca Nazionale Braidense
ll bello è che costui cade nel difetto da lui rimproverato più sopra al Voiture di [cui] censurava l’affettazione con frasi affettate. Ella è malattia contagiosa.
Questo <u> Moi </u> e il <u> qu’il mourût </u> sono due persecutori, ma almeno questo perché non dire che è tolto di peso dal <u> Medea </u> di Seneca?
Il diletto che si ha dall’arte non è nell’osservare i mezzi de’ quali usa l’artefice, ma nel sentirne l’effetto. La difficoltà innoltre | nel senso che mi pare che qui la dia l’Autore | gli eccellenti scrittori non solo non si sono studiati di vincerla, ma l’hanno sfuggita; perché il più delle volte essa non è che contraddizione o disparità fra i mezzi ed il fine. La difficoltà da essi vinta è anzi *l’aver trovato [<i>ins.</i>] la somma convenienza fra queste due cose; ma questa il lettore non la vede, e non la deve vedere. Così intendevano le arti gli antichi, o almeno così le esercitavano. V’ha mille cose a dirsi su questo soggetto
Forse perché questa <u> bassesse de convention </u> sta negli oggetti spiacevoli ai sensi, oggetti che l’arte non vuole mai ricordare all’immaginazione. Non so se questa sia la ragione della differenza che l’autore indica, ma mi stupisco ch’egli non cerchi nemmeno questa ragione.