MANZ. 13. 0029 [Postillato] Milano, Biblioteca Nazionale Braidense
- Osservazioni sull'esemplare
Legatura di restauro in mezza pelle e cartone. - Postille a inchiostro di A. Manzoni. - Segni a margine a matita (forse non manzoniani) alle pp.: 16, 17, 19, 20, 21, 22, 26.
- Presentazione
Sappiamo con certezza, per concordi testimonianze, che il Manzoni recò a Brusuglio, nella triste estate del 1821, insieme all’opera del Gioia: Sul commercio dei commestibili, anche la cronaca sulla peste del Ripamonti. Resta questo un verosimile terminus post quem della postillatura: che, almeno in queste prime battute, è probabile si presentasse nella forma di segni a margine, a sottolineare le tappe più significative di quella drammatica vicenda. È certo che il Ripamonti restò poi sempre a portata di mano, sul tavolo di lavoro, via via che altre voci e testimonianze si affiancavano a quella (il Tadino, in particolare, richiamato a confronto ad alcune postille) nell’ambito della memorabile inchiesta. Alcune postille poi, atte a correggere errori di cronologia, derivarono dalla consultazione dei documenti conservati nell’Archivio civico di San Fedele (poi confluito nell’Archivio di Stato) nel tempo che intercorre tra Fermo e Lucia e Ventisettana.
Certamente il De peste rientra nel novero delle opere che più contano per i Promessi sposi, quasi un sottofondo che risuona in tutti capitoli della peste. Il Verri lo aveva definito: «cattivo ragionatore, buon latinista, cronista inesatto, ma sincero espositore delle cose de’ suoi tempi». Più alta reputazione godeva presso il Manzoni: lo provano i giudizi che ritroviamo nel Fermo e Lucia e nella Ventisettana, dove allo scrittore milanese è riconosciuto, in qualità di storico della peste, un indiscutibile primato. Se pure la cronaca (ed era questa l’unica riserva) non poteva dirsi, esaustiva, impareggiabile risultava l’affresco della società del tempo: «una grande dovizia di osservazioni e di notizie sui costumi, e sulle idee degli uomini di diverse classi, e di fatti privati che le fanno conoscere; dimodochè da quella lettura rimane una idea e come un senso dello stato generale della società in quel tempo, che non si potrebbe ricavare d’altronde». Senza contare che, rispetto alla materia, egli manteneva un encomiabile distacco: e, se pure non aveva preso apertamente le difese dei poveri untori, dà prova di non credere, sotto sotto, alla loro colpevolezza. Né del resto si poteva pretendere la verità da uno scrittore che, pur mostrando in più luoghi di averla compresa, palesemente non poteva proclamarla: «Chi domandasse se non sarebbe stato più ragionevole, come più facile, il non parlarne affatto, sappia che il Ripamonti era storiografo della città: cioè uno di quegli uomini, ai quali, in qualche caso, può essere comandato e proibito di scriver la storia». Né si può dimenticare che il Ripamonti, per commenti poco ortodossi sulla canonizzazione di San Carlo Borromeo contenuti nella sua Historia Ecclesiae Mediolanensis, aveva subito un processo di quattro anni dall’ Inquisizione. Si direbbe che si affini, nel tempo (dal Fermo e Lucia alla prima edizione dei Promessi sposi, e dalla Appendice storica alla Colonna infame) l’apprezzamento per uno storico che vede e comprende, ma non dice esplicitamente, per una reticenza (si veda post. 3) di cui il Manzoni sa mettere bene in luce le ragioni. Quanto allo stile poi lo si poteva credere, sentenzia il Manzoni, della più eletta latinità.
Tanto basta a giustificare la ricchezza, non solo e non tanto di postille, ma di numerosi, stratificati, segni di lettura e segnalibri. Il Manzoni legge il Ripamonti come fonte storica: di qui la ricca serie di segni e di ‘notabilia’, cioè i rilievi di contenuto, senza commento alcuno. Importano i dettagli, la cronologia degli eventi, i riscontri con le altre fonti a stampa (Tadino, Lampugnani, Somaglia) e manoscritte (il Borromeo, il Manoscritto Vezzoli): ma non senza che prorompa, a tratti, un confronto diretto con lo storico, con quella verità rimossa o velata che si coglie nelle pieghe di quel suo latino elegante.
Se è vero che il Ripamonti è tra i libri sui quali si fonda la composizione dei Promessi sposi sin dalle prime battute (e i segni a margine ne costituiscono certamente la testimonianza più vetusta), è peraltro verosimile che la datazione della più parte delle postille al Ripamonti (come anche al Tadino) si collochi tra Fermo e Lucia e Ventisettana, allorchè il lavoro del Manzoni assume carattere di censimento rigoroso delle fonti e di ricostruzione quanto più possibile certa e ordinata dei fatti in base ai documenti reperiti.
L’importanza dell’opera e i meriti espressamente riconosciutigli nei Promessi sposi bastano a giustificarne la tempestiva traduzione in lingua italiana ad opera di Francesco Cusani (1841).
- Descrizione della postillatura
Numerose barre a margine a matita (verosimilmente manzoniane); il resto delle postille a inchiostro, di un colore rugginoso, ma alcune anche con inchiostro più scuro e opaco (le prime probabilmente più antiche).
- Data della postillatura
1825-27
- Strumento di scrittura
- penna
- Lingua delle postille
- italiano
- Tipologia delle postille
- studio
- Segni di lettura
- 58, 69, 70, 74, 75, 80, 81, 84, 86, 87, 88, 91, 92, 94, 107, 112, 114, 115, 122, 123, 131, 147, 148, 149, 150, 151, 177, 181, 183, 184, 185, 186, 190, 192, 194, 196, 197, 205, 206, 207, 208, 209, 210, 213, 215, 219, 220, 226, 229, 234, 235, 241, 245, 251, 253, 254, 255, 273, 299, 361.
- Orecchie
- 15-16, 17, 19, 20, 21, 22, 25, 26
- Segnalibri
- Nel volume figuravano inoltre segnalibri, estrapolati dai volumi nell’imminenza del loro ingresso a Brera e custoditi ora nella Busta B. VI. 1 A: c. 2. «sed belli graviores esse curas | Rip. pag. 245 ecc.»; c. 3: «Lazzaretto e padre Felice | Ripamonti pag. 128» (la pagina reca un'orecchia’ di lettura); c. 4: «Deputati /delle Parrocchie | Rip. p. 58»; c. 5: « X cal. Maii | Rip. pag. 75»; c. 20: «Diluire ai | 23 di Luglio | Ripam. 131».
- Opere correlate
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