Lettera n. 997
- Mittente
- Manzoni, Alessandro
- Destinatario
- Manzoni, Vittoria
- Data
- 16 dicembre 1851
- Luogo di partenza
- Milano
- Luogo di arrivo
- [Firenze]
- Lingua
- italiano
- Incipit
- Consegno questo breve testo a un carissimo commentatore
- Indirizzo
- A Vittoria
- Regesto
Alessandro Manzoni scrive alla figlia Vittoria che, se le circostanze lo permetteranno, in primavera si recherà a Siena per farle visita. Lo scrittore esprime il proprio parere sul vanto che i senesi si danno in fatto di pronuncia, e accenna alle sue idee linguistiche. Ringrazia per le notizie sulla buona salute di Matilde, alla quale spedirà presto i fascicoli mancanti delle Opere varie.
- Testimoni
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- (originale) Milano, Biblioteca del Centro nazionale di studi manzoniani, Aut. II/52 (in deposito presso la Biblioteca Nazionale Braidense)
- Edizioni
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- SCHERILLO-GALLAVRESI 1923, vol. II, pp. 88-91 (incompleta).
- ARIETI-ISELLA 1986, lettera n. 997, vol. II, pp. 593-595, note alle pp. 975-976.
- CARTEGGI FAMILIARI 2019, lettera n. X.101, pp. 288-290.
- Opere citate
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Sulla lingua italiana. Lettera al signor cavaliere consigliere Giacinto Carena
Mia carissima Vittoria,
Consegno questo breve testo a un carissimo commentatore, che non vedo partire con lo stesso sentimento, che tu lo vedrai arrivare. Ti dirà più e meglio di quello che ti possa dir io con la penna, quanto bene e quanto male m'abbia fatto la tua ultima lettera. Se, al riceverla, avessi avuto una carrozza pronta e, devo pur troppo aggiungere, una borsa discretamente guernita, mi mettevo subito in viaggio, senza curarmi delle faccende che avrei lasciate in tronco; tanto è la forza che le tue parole aggiungono a quella che naturalmente mi tira costì. Non dissimulo che mi sarebbe costato il lasciar qui la mia Teresa, giacché, in questa stagione, il viaggio le sarebbe impossibile; ma essa medesima m'avrebbe fatto coraggio, penetrata com'è del mio desiderio di rivedervi, e di quello che spira dalle tue tanto amorose lettere. Ma a che parlare di ciò che si sarebbe voluto, e non s'è potuto? Ti dirò dunque che se, all'aprirsi della stagione, le mie circostanze (giacché, pur troppo, bisogna sempre cascar lì) me lo permettono, sono determinato di venire, o con Teresa, o con Pietro, a deliziarmi con voi altri miei carissimi nella villetta senese.
Ti ringrazio d’avere indugiato a chiuder la lettera, per darmi notizie definitivamente bone della salute di Matilde. Quando soffrivo | anch'io degl'incomodi analoghi ai suoi (ora gli anni me gli hanno diminuiti, ma non senza compensarli con degli altri), trovavo molto vantaggio nel mettere de' panni caldi sul petto e sullo stomaco, e nel bere qualche decotto leggiero, come fior di tigli: due rimedi innocenti, che mi disponevano al sonno, col quale tutto finiva per quella volta.
Vedo con gran piacere, che il diavolo principia a parervi meno brutto di quello che v'era comparso. Rimane sempre il dispiacere e il danno della lontananza da parenti carissimi, da amici vecchi, e da' poderi; ma c'è il vantaggio sperato della salute di Bista. Per me t'assicuro (vedi egoista!) che l'immagine di Siena mi ride più di quella di Pisa. Mi par qualcosa di più toscano, a cagione de' monti e della fisionomia antica che serba di più, a quanto mi dicono. In quanto alla pronunzia, vuoi che ti dica schiettamente il mio parere? Codesto vanto che si dà a Siena in Italia, e anche nel resto della Toscana, è una delle cento cose che mi fanno vedere come, in punto di lingua, siamo proprio fuori del senso comune. Può darsi più strano concetto di questo, che la lingua sia in un luogo, e la pronunzia in un altro? E si credesse almeno che è in un luogo; ma no, è un po' qua, un po' là, un po' nel presente, un po' nel passato, un po' nel possibile. Cose dell'altro mondo, e dell'Italia. E non credere ch'io parli per dispetto del non badare che s'è fatto al poco che ho stampato su questo proposito. No, mia Vittoria, per | quanto tu credi al tuo babbo. Sapevo benissimo quanto si sia d'udito grosso alle verità grandi e piccole, e c'ero preparatissimo. Perché dunque scrivere e stampare? Per sfogo.
Mi rimorderebbe la coscienza d'aver dato a questo argomento una parte del poco tempo che ho per scriverti, se non pensassi che la nostra cara e bona Luisa supplirà alla brevità della mia lettera. Te ne annunzio una di Pietro che è dispiacente di non aver saputo a tempo, che c'era questa occasione. Ci rimedierà presto e sicuro.
Se a Matilde non incomoda d'aspettare il suo trimestre fino nel gennaio prossimo, a me tornerebbe più facile. Pur troppo non potrò mandare altro, come vorrei, e dovrei se potessi.
Mi pare che Matilde m'abbia scritto tempo fa, che nell'invio che v'ho fatto per mezzo dell'ottimo Caccianini, avevo inavvertentemente lasciato mancare qualche fascicolo. Ho frugato nelle sue e nelle tue lettere, ma non ho potuto trovare, o quella, o il luogo dove mi si parla di questo. Per fortuna, sono di quelle cose in cui il ritardo non porta danno; e a un novo avviso, e a un'altra occasione, si rimedierà.
Addio, Vittoria, Matilde, Bista. Voglia il Signore che il nostro desiderio possa esser soddisfatto questa primavera. Dico | il nostro, comprendendo Bista. È presunzione? No: sarebbe sconoscenza il parlare altrimenti.
Un'altra volta chiedimi scusa, se hai coraggio, degli scarabocchi che si trovano, come dici, nelle tue lettere.
Pietro e sua moglie, che ho visti oggi, vi salutano e v'abbracciano di core. Così Teresa e Stefano. Enrico e la sua famiglia stanno bene. Ho sempre saluti per tutti voi, di Sogni, di Rossari, di Grossi. Rammentami colla solita affettuosissima riconoscenza a casa Giorgini. Dio vi benedica, carissimi!Il v.ro aff.mo babbo
Alessandro